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vena di fonte alta. 395

compagno muto; spariscono in alto per sempre i boschi, i pascoli con i sentieri, le macchie e le fontane che tanto sanno, sparisce Picco Astore; giù, giù sotto le stelle pure, per una costa ignuda, per nere strette di capanne; sparisce in alto, per sempre, la casa dove dorme Jeanne, inconsapevole; giù, giù, al trotto stanco della brenna, per un fitto di faggi addormentati, per avanguardie di radi abeti veglianti, per orli curvi di baratri; giù, giù, da destra a sinistra e da sinistra a destra, con l’orrore di aver cupidamente pensato al tradimento mentre la poveretta fedele lo chiamava al suo letto, con il senso di una potenza oscura che lui cieco fosse andata lentamente avvolgendo nelle sue fila e ora lo afferrasse violenta, con l’amaro ineffabile di quella vana parola: prega; giù, giù, dal vento freddo delle alture nell’aria sempre più afosa, con la visione di tutta la triste sua vita, della lugubre meta; giù, giù, da sinistra a destra, da destra a sinistra, senza fine, al trotto stanco della brenna, col biroccino sconquassato, accanto al compagno muto; giù, giù, sino al fondo, al suono di ombrose correnti, a una prima sosta.

Quante ora ancora?

Sei ore.