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386 capitolo sesto.

camminando avanti, in silenzio, col senso dello sguardo fisso di lui, volgendosi con un sorriso quando lo sentiva tanto forte da soffrirne. Poco a poco la nebbia si aperse, apparve a destra, nero, imminente, il tragico Picco Astore, apparvero in un chiarore di sole pallido pendenti grembi e molli dorsi di pascoli, alture nere gremite di abeti, profili grandi delle creste di Val Posina. E presto intorno ai due silenziosi ruppe il sereno da ogni parte, l’erbe imperlate brillarono, lo smeraldo dei pascoli si ravvivò, le cervici calve di Picco Astore diventaron fulve, gli umidi aromi della montagna odorarono. Jeanne sedette sur un muricciuolo diroccato che troncava il sentiero dove si gitta dal prato in una macchia. Pallida, spossata dall’ultima ripida salita, non poteva parlare, sorrideva guardando lui. Lì presso era un cespuglio di nascenti faggi misti ad abeti. Jeanne sospirò, guardandolo: “Che piacere vivere uniti qui, sempre, sempre, dimenticare il mondo basso! Ah! che gioia, che gioia!„ Attese invano una parola di Piero, mormorò ancora, con gli occhi bassi: “Non dici niente?„

Piero non parlò. Neppure parve udirla. Pareva guardasse l’ombra del proprio capo sull’erba. Ella si alzò, si fece aiutare a scavalcare il muricciuolo, si mise risolutamente, seguita da lui, nella macchia. Pochi passi per intricati rami, su pietroni