neri mentre negli alberi e nei macigni di Vena aveva trovato sempre, quando parlava a voce alta, nei suoi vagabondaggi solitari, un’attenzione piena di stima e di simpatia. Egli disse che realmente quest’odor di putrido l’aria cittadina lo aveva ma ch’era un odore gradito al suo naso e non per le considerazioni estetiche dell’amico Dessalle. Gli era gradito come l’annuncio ufficiale che tante cose odiose o fastidiose marcivano e che una salutare fase della evoluzione nuova era prossima; perchè il poeta era un trasformista fanatico e non sapeva, quasi, ordinarsi il pranzo senz’arringare il cameriere con l’evoluzione. Puzzava di putrido nel paese degli abiti neri l’accattonaggio universale, quello lurido delle strade, quello poco pulito delle anticamere, quello schifoso dei gabinetti. Il puzzo annunciava che gli attuali ordini economici, gli ordini amministrativi, gli ordini parlamentari erano marci e si sarebbero presto sfasciati. Puzzavano i partiti politici; il partito socialista con le sue camicie sporche plebee e i suoi capi unti di grasso borghese; il partito liberale con la sua rettorica ammuffita della bocca e la sua feccia scettica, egoista, del cuore (qui il notaio fece invano “a pian!„), il partito clericale con la sua religione guasta, mal conservata nell’aceto. Il triplice puzzo annunciava una prossima trasformazione pure di