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360 capitolo sesto.

III.


Quella sera stessa, molto più tardi, scrisse al suo avvocato per chiedergli un colloquio. Era una notte afosa, in casa si soffocava. Piero sentiva che se si fosse coricato non avrebbe potuto, un po’ per il caldo, un po’ per l’agitazione, pigliare sonno. Risolse di recar egli stesso il biglietto alla Posta. Ma prima tolse dalla valigia e rilesse per la centesima volta la carta d’affari trovata nel portafogli, che gli era stata causa di scrivere all’avvocato. Era una lettera di sua madre incominciata a scrivere il 17 gennaio 1862, nove giorni prima che morisse, e non finita, nella quale affidava ad una cara amica l’incarico d’informare suo figlio, quand’ella venisse a morte durante l’infanzia di lui, che a detta del povero suo padre la sostanza Maironi aveva origine da una lite mal vinta contro l’Ospitale Maggiore di Milano. Le ultime parole della lettera interrotta erano queste: “Io spero...„. Certo, ell’aveva sperato in un cuor fiero e forte del figlio suo. E il figlio suo si proponeva di conferire, l’indomani, con l’avvocato X per incaricarlo di ricerche nell’Archivio dell’Ospitale Maggiore circa questa lite con la famiglia Maironi e, in quanto fosse pos-