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356 | capitolo sesto. |
dei suoi caratteri lo turbava di un turbamento che non era senza mistura di un desiderio e di una particolare commozione, perchè sempre don Giuseppe gli aveva ricondotto le immagini dei suoi genitori e ora gliele riconduceva tanto più note e vive e parlanti all’anima sua parole di amore imperioso. Aperse lentamente la lettera e lesse:
Caro signore e amico,
Ero venuto da Lei per la silenziosa preghiera d’una poveretta che il Signore ha creato augusta e, vorrei dire sacra, con doni mirabili di dolore e di sommessione al dolore. Essa non osò espressamente affidare a questo disutile, cadente prete un messaggio per Lei, prezioso e grave di sapienza non umana. Altre mani erano da questo, io lo tolsi all’insaputa della persona che dico; e adesso lodo Chi non permise che io lo portassi con la mia voce malviva, con la mia parola rotta. Penso perciò di non ritornare a Lei, d’inviarle dove mi han detto ch’Ella ora è il messaggio prezioso senza pronunciarlo, chiuso in un ideale vaso suggellato ch’Ella facilmente aprirà se mi ascolta bene.
Pensi anzi tutto le confessioni dolorose che in un’ora di travagliata coscienza Ella venne a portarmi nella mia solitudine con tale generoso abbandono,