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350 capitolo sesto.

non poteva vedere in certi atti, in certe parole di lui, cui vi scorgeva lei e che in fatto erano molto spesso infuse al vetro della lanterna. “Tuto el resto„, soggiunse nel suo linguaggio elittico, intendendo chi sa che, forse anche il lavoro per il Senato, “no xe che per distrarse.„ Zaneto venne, fece a suo genero molte dimostrazioni affettuose e, udite le notizie, si mise a singhiozzare rumorosamente. Quando Piero se n’andò, lo accompagnò fuori e sul pianerottolo della scala, gli domandò, con voce ancora lagrimosa, se avesse ricevuto una lettera dell’avvocato Marchiaro. Piero non l’aveva ricevuta. Allora Zaneto si diede a masticare, a masticare, tentennando fra il desiderio di parlare della lettera e il senso del momento inopportuno. “Bene„, diss’egli troncando il masticare. “Insomma, l’avrai„. E passò all’argomento Brescia. Aveva Piero fatto qualche cosa? Piero rispose “scusa, no„, risolutamente, pronto a rendere ragione della risposta. Ma Zaneto non la chiese. Voltò le spalle e trottò via curvo con un trotto conforme di “ben, ben, ben„.

Dopo pranzo, mentre Piero stava leggendo le lettere rimandategli da Brescia durante il suo soggiorno in Valsolda, capitò da lui la marchesa. Le prime parole che disse, con l’aria di annunciare