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314 | capitolo quinto. |
“Scusa, sai„, diss’ella, “t’inganni molto e poi è un discorso inutile. Andiamo, io debbo rientrare„.
Donna Laura, delusa, pensò: che si sieno guastati? E si propose di saperne qualcosa la sera stessa.
Intanto il successo di Carlino andava crescendo. Egli aveva imbastito la più assurda delle fiabe e intorno alla bocca dell’uomo acido il muscolo orbiculare, il buccinatorio e il risorio facevano insieme, a ragione, una tregenda furiosa. Ma le proiezioni levavano il pubblico a rumore. Il soggetto della fiaba era questo. Una bella, gentile e nobile giovinetta della città, presente nella sala e realmente fidanzata a un signore straniero, figurava già sposa in un castello superbo sul Reno presso allo scoglio della Lorelei, felice ma non senza qualche ombra di mestizia per il ricordo della patria lontana. La Lorelei, impietosita da quei sospiretti, le recava in dono e le piantava nel giardino la svelta vecchia torre all’ombra della quale era nata, la Torre di città. Seguiva la desolazione dei cittadini per la scomparsa della loro Torre. Qui c’era un anacronismo. Maironi usciva sul bianco quadrato con la sciarpa di sindaco, nell’atto di andar cercando, con una lanterna in mano, la torre. Jeanne si crucciò di quest’apparizione, che fece ri-