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310 capitolo quinto.

le nuvole notturne tremolarono e sparvero, le lampade elettriche mandarono una fioca luce crepuscolare e Carlino salì sopra una piccola tribuna che tagliava l’angolo della sala fra il quadrato delle proiezioni e l’uscio aperto della stanza battezzata da lui per le decorazioni tiepolesche La Cina dei mostri, dove stavano i musicisti.

“La baraca de Purincinèla„ mormorò l’uomo acido.

“Porta dei sogni„, incominciò Carlino, senza enfasi, con quel nervoso accento toscano che agli orecchi veneti suonava già singolare e magico. “Porta delle Sfingi, janua clara! Apparisci!„

Le lampade si spensero, tremò sul quadrato luminoso e vi si fermò la immagine di una elegantissima porta fine Quattrocento. La base del pilastro destro recava sul plinto:

JANUA CLARA.

Qualcuno riconobbe il motto e le sfingi dell’architrave, mormorò il nome di un palazzo della città.

“Degna„, continuò Carlino, “del palagio di Atlante, io ti scelgo per esordio. Sanguigne, informi dall’utero di un’alpe selvaggia cavò le tue membra il nerbo di braccia violente; e l’anima tua