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numina, non nomina. 287

pariva per l’uscio aperto della sala, laggiù nell’Oriente, fasciata in giro al curvo confine del cielo di freddi vapori; ma tutti lo sentivano il mare, in quel fosco, profondo Oriente, e Bessanesi chiedeva se qualche volta non se ne vedessero, splendendo il sole o la luna, scintille. Altri nominò Venezia. La Gonnellina sfavillò negli occhi di desiderio, osò sussurrare a suo padre che si sarebbe potuto ritornare a Venezia, poi fare l’Adriatico fino a Ravenna, si udì rispondere secco:

“Io faccio l’Oceano indiano„.

Invece Destemps ammirava le volute bianche di una grossa fumata di nuvole sospesa là di contro, sopra l’angolo della Foresteria con il pomposo colonnato che vi si appoggia, sopra più lontane chiome tondeggianti d’ippocastani, tagliate da sottili aste di cipressi, e sopra una villetta giallognola, ritta sull’orlo dei poggi, scolta del palazzo signorile, vigile sul piano immenso.

“Come è goethiano questo Settecento!„ disse Carlino. “Quelle nuvole mi figurano la sacrosanta parrucca del dio„. Le bianche nuvole diedero un baleno d’oro, si gridò alla parrucca miracolosa, si pose mano ai turiboli e all’incenso. Donna Bice, che dell’opera goethiana serbava memorie lontane e non l’aveva, del resto, ben penetrata mai, che andava a messa quasi tutte le domeniche e pigliava