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280 | capitolo quinto. |
vellicamento dello spirito. Laura, del resto, vedova da qualche anno, sdegnava la galanteria. I suoi amici dicevano ch’ella permetteva a Dane di petrarcheggiare un po’ con lei per ricordarsi di esser donna, perchè non le avvenisse di mettere in isbaglio un cappello di ministro o un zucchetto di cardinale; e più innocuo memento non si sarebbe trovato. Bice, orgogliosa di aver ispirato una vera passione a Destemps, molto più savia che talvolta non sembrasse, lo teneva legato ma in rispetto.
Si parlò della piccola città dove Bessanesi diceva di sentire, Dio sa perchè, uno spirituale odore di mare, tanto da immaginare il malinconico Adriatico dietro a ogni cresta diroccata di muro tagliante il cielo. Destemps era innamorato di tutto che aveva visto, anche di un vecchio sagrestano guercio, storpio, gobbo, sudicio, adoratore devoto della sua chiesa, che a un’uscita di Gonnelli “Puzzolenta la tua chiesa!„ aveva risposto: “Eh no signor, son mi che spuzzo„.
Gonnelli che non aveva mai passato il Po, compativa molto. “Carino questo, carino quello, ma non è Toscana, via! Somiglia, ma non è!„
“Eppure„, gli disse Carlino Dessalle, “hai veduto sulla facciata di quella bella chiesa gotica gli avelli dei fiorentini che posero dimora proprio qui, nel Trecento„.