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numina, non nomina | 279 |
maccheronica e disse a Gonnelli col suo sottile sorriso e col suo italiano grosso: “Questa era forse lingua troica, signor?„ - “Sì, sì, latino troico„ fece Gonnelli. “Troicissimo. E giuro per quella sperlungona di Didone, scusami, Carlino, non l’hai dipinta tu, che Destemps, Bessanesi e io si parlerà e mia figlia tacerà troico tutto il pranzo, vivaddio, se non la smettete con l’anglico! C’è qui la signorina Bertha che parla lungarnico come il Baccelli di Palazzo Vecchio o come una Bertuccia di Mercato, c’è il nostro veneratissimo professore Dane che si arrabatta per benino in un fiesolaico un poco suo proprio, diciamola, in un dannato di fiesolaico, che però insomma è toscanico. Eh dunque!„
Rise anche il professore e la conversazione continuò in italiano, vivacissima. Le due dame, che nei convegni aristocratici portavano con dignità cosciente l’uniforme ideale, per così dire, prescritta dal luogo e dal grado, se ne scioglievano qui assai volentieri nella società preferita degl’intellettuali. Tra loro e Jeanne non correva troppa simpatia, ma di Carlino andavano pazze apertamente come tutte le signore, forse perchè con un uomo come lui, di maniere squisite, musicista eccellente, intelligente di ogni arte, paradossale nelle idee e pieno di vita nella parola ma gelido nel fondo e schivo della passione, non v’era pericolo di andar oltre un piacevole