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228 capitolo quarto.

subito in campo, rifacendosi un viso placido, le oche del laghetto. Bisognava poi vederle da vicino, quelle oche, prima di partire! Nell’alzarsi insieme a don Giuseppe, nel disporsi a una passeggiata in giardino, la marchesa pregò il domestico rurale di avvertire Giacomo e stimò di aver così trasmesso a Giacomo l’ordine di attaccare. “Giacomo?„ disse fra sè il rurale. “Sarà il cocchiere. Avvertirlo di che? Ci penserà lui„. E se ne andò con la intenzione lodevole di riferirgli tal quale il messaggio della sua padrona. Ma Giacomo non era il cocchiere che aveva condotto la marchesa Nene a villa Flores, era il nome di un defunto cocchiere antico di casa Scremin, l’emblematico nome col quale la marchesa chiamava imperturbata, nove volte su dieci, piacesse o non piacesse loro, i Beppi, i Toni, i Tita venuti poi, il Checco attuale.


Limpidi richiami di note intorno al mover pacato di una melodia tranquilla, nè lieta nè triste, avrebbero potenza di esprimere quell’inafferrabile interno che sfugge al poeta nel dire l’andar lento di don Giuseppe e della marchesa per l’erbe tutte vive di vento nell’ombra chiara delle nuvole argentee, fra le macchie tutte bisbigli di frondi, rotti dalle note insistenti e gravi, dalle volate acute degli usignoli. I due non scambiavano, quasi, pa-