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il caffè del commendatore. 215

che sua figlia guarisse, che sapesse, che vedesse. Parve che la marchesa non dubitasse di essere stata intesa, perchè senz’aver proferite le parole amare le confermò con un “proprio!„ pieno di dolore, di severità e di disgusto. Diceva tutto, quel proprio; e don Giuseppe fece il gesto di chi vorrebbe pur contraddire e non sa. “Possibile„, pensò, “recar tale afflizione a una povera, santa, creatura sventurata come questa!„ Mansueto alla fragilità umana, si astenne da giudizi più acerbi di così; ma la faccia dilettosa della passione colpevole mai non gli era parsa meno lusinghiera, nè più spiacente l’altra egoistica sua faccia crudele.

“Eppure„, diss’egli, “quel giorno in Duomo l’ho veduto nella cappella con Lei...„.

Più dal volto che dalle avviluppate risposte della marchesa don Giuseppe capì che se quel giorno il contegno di Maironi era stato buono, nulla di mutato appariva nelle sue relazioni con la Dessalle. L’eloquio della marchesa era sempre difficile, ma poi a nominare non che a descrivere le passioni illegittime le mancavano addirittura i vocaboli o almeno essi le bruciavano le labbra e nessuno ne aveva mai udito da lei.

Devota religiosamente al marito dal dì delle nozze, professava nel cuore il più duro disprezzo per le colpe di amore, non avendone conosciuta