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214 | capitolo quarto. |
del laghetto giallognolo, ingrossato dalle piogge recenti, e di certe oche, sue tronfie navigatrici; le quali la condussero a parlare delle anitre che teneva lei e dei taglierini al brodo di anitra e dei gusti di Zaneto cui non piaceva l’oca. Don Giuseppe sorrideva, non sapendo che dire, secondava con qualche blando monosillabo quella parlantina disordinata e nervosa che finalmente, quando la povera signora sedette stanca sul canapè della sala, si spense. Allora toccò a don Giuseppe di parlare, di chieder notizie del marchese, e poi, con voce sommessa, esitante, anche dell’altra persona per la quale aveva celebrato pochi giorni prima, in Duomo.
Una tristezza quieta comparve sul viso squallido della povera vecchia. “Ma!...„ diss’ella. “Ecco!...„. Non soggiunse parola e durante il silenzio lungo che seguì, due lagrime le spuntarono negli occhi. Don Giuseppe sospirò accorato e chinò il viso riverente davanti alla grandezza recondita di quella creatura umile dalle parole incomposte, che celava il suo inesplorabile dolore, curva e mansueta sotto l’impero amaro della Divina Volontà.
“Sofferenze, don Giuseppe„, diss’ella finalmente. “Ecco... sì, già, sofferenze; e nessun vantaggio... Ma già, quasi quasi...„. Tacque e gli occhi le brillarono ancora di pianto. Don Giuseppe credette intendere il suo pensiero; ella non desiderava, quasi,