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il caffè del commendatore. 213

mentre la bocca pregava e pregava, all’altro del colloquio con Piero Maironi, del quale aveva udito poi cose tristi senza tentare alcuna mossa di soccorso. Il trotto di due cavalli e ruote correnti suonarono sulla via davanti alla porta maggiore, chiusa, della cappella. Don Giuseppe udì trotto e ruote svoltare nel cortile della villa. Poco dopo il domestico venne ad annunziargli la marchesa Scremin.

Egli uscì a incontrar la marchesa sulla gradinata che sale dal cortile della villa. La vecchia signora, nobilmente vestita di nero, un po’ più magra, un po’ più rugosa e cerea del solito, si affrettava sugli scalini faticosi per ossequio al vecchio prete che alla sua volta, per ossequio a lei, si affrettava sulla discesa malfida. Don Giuseppe non osava nè ringraziare nè mostrar letizia per una visita ch’era presuntuoso attribuire a semplice cortesia e non temerario, pur troppo, di attribuire a qualche cagione poco lieta. La marchesa gli aveva parlato, in città, di certa iscrizione da far incidere in una medaglia, l’aveva pregato di dettarla, di commetterne il lavoro all’artefice; ma non era possibile che fosse venuta per questo.

Dal canto suo la marchesa pareva infervorata a coprire il fine della sua venuta con un arruffìo di frasi mozze e incongrue, di complimenti sull’aspetto florido del vecchio, del suo giardino, sulla bellezza