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il caffè del commendatore. |
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Non gli era possibile di riversare anche su don Giuseppe il fastidio, il disprezzo di cui era tutto amaro; e guardare quel viso con desiderio di luce e di pace come l’aveva guardato un giorno là nella villa solitaria, non voleva, non poteva più. Nemmanco poteva, però, chiuder gli orecchi alla voce grave e dolce che gli riconduceva le memorie della solitudine pastorale intorno alla villa silenziosa, dello stanzino, del colloquio sul canapè rosso, delle parole sante, delle sante labbra posateglisi un momento sui capelli. Se durante le tentazioni antiche la sua volontà si annientava per non consentirvi nè perderne la dolcezza, adesso gli avveniva di non poter cacciare da sè, per una simile paralisi della volontà, quelle imperiose memorie moleste. Non poteva non aderire col senso alla voce dolce e grave, non poteva non aderire colla mente alla visione di don Giuseppe seduto accanto a lui sul canapè rosso, pieno la gran fronte, gli occhi accesi e calda la parola di Spirito Santo. Così, udendo la voce del celebrante, contemplando le immagini della propria mente, incominciò a sentirsi in fondo alla gola e più giù verso il cuore un dolor sordo simile al dolore che sotto una pressione fissa lentamente si genera, dilata e profonda. Era un dolore anche muto, non diceva la propria origine, la propria natura, si dilatava e si sprofondava, era