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190 | capitolo terzo. |
Fanelli e Berardini batterono le mani.
“Forse ci sono„, disse Carlino, “e forse non ci sono„. Questa è la mia gioia, di non saperlo. Ma bada, Jeanne, tu mi hai l’aria di riscaldarti non tanto contro Chieco e Fusarin, quanto contro un’opposizione segreta di mia sorella, non so se m’intendi„.
Ella crollò le spalle, “sciocchezze!„ E sorrise a Chieco che domandava una illusione di thè, mezza illusione di latte, tre illusioni di zucchero e sei o sette illusioni di gauffrettes perchè forse aveva cenato e forse non aveva cenato alle dieci e mezzo. Fusarin, più innamorato che loico, inghiottì rassegnatamente col thè la certezza che non vi ha certezza e si accontentò di brontolare a Jeanne:
“Se no la ghe xe ela, no ghe son gnanca mi, ciò, intendemose!„
Partirono all’alba, con grande sollievo di Jeanne che si pose a letto mortalmente stanca ma beata di pensare lui, lui solo, in pace. Si domandò: sogna egli di me, adesso? E rise di sè stessa, del romanticismo convenzionale che si assorbe nei libri e ci passa nel sangue. No, egli sognava forse il Municipio o qualche altro sogno stupido. A lei sarebbe piaciuto di sognare l’ignoto lago di Valsolda