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176 | capitolo terzo. |
ma soltanto nel primo incontro con Maironi aveva sentito l’improvviso impero d’un destino. Era in quel punto divenuta schiava dell’Ineluttabile.
Ineluttabile l’amore, ineluttabili erano i dolori che esso avrebbe recato ad altre creature umane e che non le ispiravano, quindi, rimorso ma solamente pietà. Sotto l’ebbrezza di Maironi che scendeva col bacio di lei sulle labbra si veniva raccogliendo silenziosamente, non avvertito, un lievito amaro. Sotto l’ebbrezza di Jeanne vi era il recondito, freddo nucleo del suo scetticismo, la sua chiara visione del vortice eterno nel quale il suo amore e la sua coscienza, come tutti gli altri amori, come tutte le altre coscienze, si dissolverebbero in breve. Questo era l’Ineluttabile supremo e non la turbava, le rendeva più intenso il piacere dell’ora presente.
Ella non credeva di poter più dormire, quella notte; e le gradiva di godersi il tramonto della luna, la fragranza delle rose, pensando a lui. Come mai l’aveva lasciato partire senza domandargli quando sarebbe ritornato? Non poteva, non poteva stare in questa incertezza! Vide i suoi guanti, dimenticati sopra una sedia. Oh se ora venisse a riprenderli! Si rizzò sulla persona, stette in ascolto. Che follia! Si propose di rimandar i guanti l’indomani mattina, con una lettera. E li prese, contenta. Si struggeva di baciarli, sorrise di sè stessa.