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118 | capitolo secondo. |
onesta, diceva Zaneto; molto ambigua, diceva il mondo — con un uomo politico, zio dei Dessalle. Egli si era poi fatto presentare a villa Diedo, suonandogli dietro il ghigno satanico dell’uomo amaro: mondo! mondo! Vi era quindi ritornato due o tre volte con una solenne tuba e, diceva Carlino, col suo guscio anche lui; con un polito untuoso guscio di umiltà, nel quale spariva frettoloso a capo in giù tosto che Jeanne o Carlino accennavano a toccar il tasto dei meriti che il Governo gli avrebbe dovuto riconoscere. Ora Carlino lo stese delicatamente sopra un’ideale tavola anatomica per trovargli questi meriti. Finalmente poichè i suoi compagni non parevano dargli retta, smise di parlare anche lui.
Una torre alta e sottile, tozzi campanili, schiacciati ammassi di tetti venivano alzandosi dal piano davanti alla carrozza sotto le aeree fronti nevose delle montagne lontane. Era la città, la triste fine del cielo aperto ai sogni, della terra distesa in pace, odorante vita e frescura; la triste fine, per Jeanne e Piero, del molle, veloce andare in silenzio sentendo fino al cuore ogni tocco lieve delle spalle, nelle scosse della corsa. La carrozza si fermò alla scuderia Dessalle, sull’angolo della ripida stradicciuola che sale a villa Diedo. Un invito a pranzo per il giorno dopo, saluti brevi e già caldi del dolce domani. Mentre Piero scendeva per rientrare a piedi