non osando, in faccia a Dessalle, guardare Jeanne negli occhi senza parole, e non trovandone alcuna; guardava la mano che indugiandosi sulla pelliccia gli rispondeva, come pure un mal celato sorriso della bocca: strette segrete, basta. L’odore del mantello di Jeanne, chiuso sulla squisita persona, della pelliccia, dei guanti lievemente profumati, forse dei capelli, saliva in un tepido indistinto al cervello del giovine, alternandosi secondo il vento e il passo dei cavalli con l’odor fresco dei campi e della strada umida. Gli pareva che una scura, dolce aura di lei lo avvolgesse, donandosi; che fosse già questo un principio di secreto delizioso possesso. Passarono davanti alla villa di don Giuseppe, bianca nell’ultimo chiarore del ponente, sopra il giardino pieno d’ombra. Dessalle credette discernere un prete seduto sulla gradinata della fronte, lo suppose il padrone, disse che aveva udito farne gran lodi e chiese a Maironi se lo conoscesse. Nello stesso punto Jeanne, che non aveva fatto attenzione al discorso del fratello, mostrò a Maironi la falce della luna nel cielo di occidente. “Completur?„ diss’ella, non ricordando l’altra parola. Maironi non parve intendere ed ella ripetè: “completur? dica!„ “Ah, cursu, cursu!„ esclamò Dessalle e non rinnovò la domanda. Intanto la mano di Jeanne cercò sotto la pelliccia la mano cara, la strinse, disse: