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102 | capitolo secondo. |
quel chiaror largo, quel quadrato severo di contrapposte arcate, il puteale nel mezzo, il tabernacoletto sull’angolo del refettorio, pieno di cielo sotto il pinnacolo, fra le quattro colonnine, lo Spirito del monastero lo fermò. Preso dal suo dramma, il giovane si era scordato di essere a Praglia. Riconobbe a un tratto il chiaror largo, il quadrato di arcate, il puteale nel mezzo, il tabernacoletto sull’angolo del refettorio. Trasalì, si arrestò. Era il posto della commozione inesplicabile, della presenza misteriosa, che due volte, a intervalli di anni, aveva sentito. Sul piano del cortile, sulle fronti delle arcate, un crescente lume di sole veniva più e più colorando le pietre austere come un’ascensione interna di vita, di senso, di parola. La prima volta lo Spirito del monastero aveva inebriato il giovinetto di desiderio, aveva la seconda volta percosso l’uomo di rimprovero; adesso lo respingeva da sè, muto.
“Ebbene, caro Maironi, che fa? Venga! Ci son cose meravigliose, qui!„
Dessalle trascinò Piero nella loggia, gli mostrò la cresta scura del colle imminente al tetto della loggia opposta. “Faccia grazia, Praglia è l’abbazia del Morgante, del mio divino Morgante! Quello è il monte dei giganti! Che stava pensando, Lei?