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94 | capitolo iv |
nonno? Sa come sono andati gli affari di casa Sua? Mi perdona, neh, se Le parlo di queste cose?»
«So che mio nonno morì senza testamento e che non ho niente» rispose Franco. «Passiamo, andiamo avanti.»
Era un argomento penoso davvero, per Franco. Alla morte del vecchio Maironi non s’era trovato testamento. La vedova e il figlio don Alessandro s'erano divisa la sostanza per metà, d’amore e d’accordo. Per riuscire a questo il figlio aveva fatto alla madre una donazione assai grossa dichiarando d’interpretare la volontà paterna cui era mancato il modo d’esprimersi. Il giovane, vizioso, giuocatore, prodigo, era già impigliato, alla morte di suo padre, nei lacci degli usurai. Nei sette anni che visse ancora si governò per modo da non lasciare un soldo al suo unico figlio Franco, il quale rimase con una ventina di mila svanziche, la sostanza di sua madre, morta nel metterlo alla luce.
«Sì, sì, andiamo avanti» riprese il Gilardoni. «Tre anni fa, dico tre anni fa, ricevo una Sua lettera. Ricordo ch’era il due novembre, il giorno dei morti. Cose strane, cose misteriose. Senta bene. La sera vado a letto e faccio un sogno. Sogno la lettera di Suo nonno. Noti che non ci avevo mai più pensato. Sogno di cercarla e di trovarla in una vecchia cassa che tengo in un granaio. La leggo, sempre in sogno. Cosa dice? Dice che nella cantina di casa Maironi a Cressogno c’è un tesoro e