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90 | capitolo iv |
bitorzoluto e vermiglio, luceva per due begli occhi azzurri, molto giovanili, pieni d’ingenua bontà e di poesia.
Appena Franco ebbe chiuso l’uscio dietro a sè, l’amico gli sussurrò: «è fatto?». È fatto,» rispose Franco. L’altro lo abbracciò e lo baciò silenziosamente. Poi lo fece salire nello studiolo. Gli spiegò strada facendo che s’era applicato sulla testa delle compresse d’acqua sedativa, secundum Raspail, per una minaccia di emicrania. Egli era un apostolo di Raspail e aveva convertito anche Franco, molto soggetto alle infiammazioni di gola, dalle sanguisughe alla sigaretta di canfora.
Nello studiolo, nuovo amplesso, molto stretto e molto lungo. «Tanto, tanto, tanto!» esclamò il Gilardoni sottintendendo un mondo di cose.
Povero Gilardoni, gli occhi gli luccicavano. Aveva sperato invano una felicità simile a quella dell’amico suo! Franco intese, s’imbarazzò, non seppe dirgli nulla, e ne seguì un silenzio così significativo che il Gilardoni non potè sopportarlo e si mise ad accendere un po’ di fuoco per riscaldare il caffè che aveva preparato. Franco si offerse per questa bisogna e il professore accettò allegando il suo mal di capo, si mise a disfare il turbante davanti a una scodella d’acqua sedativa. «Dunque», diss’egli, dominando la propria emozione con uno sforzo di volontà, «mi racconti.» Franco gli raccontò ogni cosa dal pranzo della nonna fino alla cerimonia nuziale nella chiesa di Castello, eccetto, naturalmente,