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76 | capitolo iii |
zie, Carlin. E adesso andate a Dasio?» «Sciora no» rispose il Carlin. «Voo a Casarech dal me fioeu.»
L’ammalata non vide più il Carlin, ma vide ancora la lettera sul tavolo. La vedeva chiaramente eppure non era certa che vi fosse; nel suo cervello inerte durava l’idea vaga di altre allucinazioni passate, l’idea della malattia sua nemica, sua padrona violenta. Aveva l’occhio vitreo, la respirazione penosa e frequente.
Un suono di passi affrettati la scosse, la richiamò quasi del tutto in sé. Quando Luisa e Franco si precipitarono in camera dalla terrazza, non si accorsero, causa il paralume della lucerna, che la fisionomia della mamma fosse stravolta. Inginocchiati accanto a lei, la coprirono di baci, attribuirono all’emozione quel respiro affannoso. A un tratto l’ammalata sollevò il capo dalla spalliera della poltrona, tese le mani avanti, guardando e indicando qualche cosa.
«La lettera» diss’ella.
I due giovani si voltarono e non videro niente.
«Che lettera, mamma?» disse Luisa. Nello stesso punto notò l’espressione del viso di sua madre, diede un’occhiata a Franco, per avvertirlo. Non era la prima volta, durante la sua malattia, che la mamma soffriva di allucinazioni. All’udirsi domandare «che lettera?» ella capì, fece «oh!» ritirò le mani, se ne coperse il viso e pianse silenziosamente.