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il gran passo | 75 |
non poteva indovinar niente, presentir niente del loro destino. «Poveri ragazzi,» pensò. «chi sa cosa avranno passato fra cinque anni, fra dieci anni!» Stette ancora in ascolto, ma il silenzio era profondo; non entrava per le finestre aperte che il fragor lontano lontano della cascata di Rescia, di là dal lago. Allora, supponendo che fossero già in chiesa, prese il suo libro di preghiere e lesse con fervore.
Si stancò presto, si sentì una gran confusione in testa, le si confusero alla vista anche i caratteri del libro.
La sua mente si assopiva, la volontà era perduta. Presentiva una visione di cose non vere e sapeva di non dormire, comprendeva che non era un sogno, ch’era uno stato prodotto dal suo male. Vide aprirsi l’uscio che metteva in cucina ed entrare il vecchio Gilardoni di Dasio, detto «el Carlin de Das» padre del professore, agente di casa Maironi per i possessi di Valsolda, morto da venticinque anni. La figura entrò e disse in tôno naturale: «Oh sciora Teresa, la sta ben?» Ella credette di rispondere: «Oh Carlin! Bene e voi?» ma in fatto non aperse bocca. «Ghe l’hoo chi la lettra» riprese la figura agitando trionfalmente una lettera. «L’hoo portada chì per lee.» E posò la lettera sul tavolo.
La signora Teresa vide chiaramente e con un senso di vivo piacere questa lettera sudicia e ingiallita dal tempo, senza busta e con la traccia di una piccola ostia rossa. Le parve dire: «Gra-