Questa pagina è stata trascritta, formattata e riletta. |
64 | capitolo iii |
l’ingegnere «ho da picchiar col naso?» La nipote gli turò la bocca con una mano, lo tirò dentro con l’altra, fece un saluto grazioso al signor Giacomo e chiuse la porta; tutto ciò in un attimo, mentre lo stesso signor Giacomo andava soffiando: «Padrona mia riveritissima... me consolo propramente...» «Grazie, grazie« fece Luisa «passi, La prego, devo dire una parola allo zio.»
L’ometto passò con il suo cappellone in mano, e la giovane abbracciò teneramente il suo vecchio zio, lo baciò, gli posò il viso sul petto, tenendogli le braccia al collo.
«Ciao, neh» fece l’ingegnere quasi resistendo a quelle carezze perchè vi sentiva una gratitudine di cui non avrebbe sopportate le parole. «Sì, là, basta. Come va la mamma?» Luisa non rispose che con una nuova stretta delle sue braccia. Lo zio era più che un padre per lei, era la Provvidenza della casa, benchè nella sua gran bontà semplice neppur sognasse di aver il menomo merito verso sua sorella e sua nipote. Che avrebbero mai fatto senza di lui, povere donne, con quelle magre dodici o quindici migliaia di svanziche lasciate da Rigey? Egli godeva, come ingegnere delle Pubbliche Costruzioni, di un buon stipendio. Viveva parcamente a Como con una vecchia governante e i suoi risparmi passavano a casa Rigey. Aveva sulle prime apertamente e solennemente disapprovata la inclinazione di Luisa per Franco parendogli quello un matrimonio troppo disuguale; ma poichè