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il gran passo 59

come che la sa star con tuti, col zovene e col vecio, col rico e col poareto, cola serva e col piovan. No capisso, propramente, come la marchesa...»

L’ingegnere l’interruppe.

«La marchesa ha ragione» diss’egli. «Mia nipote non è nobile, mia nipote non ha un soldo; come si fa a pretendere che la marchesa sia contenta?»

Il signor Giacomo si fermò alquanto sconcertato, e guardò l’ingegnere battendo i suoi occhi dolenti.

«Ma» diss’egli. «Ela no ghe darà miga rason sul serio?»

«Io?» rispose l’ingegnere. «Io non approvo mai che si vada contro la volontà dei genitori o di chi tiene le loro veci. Ma io, caro signor Giacomo, sono un uomo antiquato come Lei, un uomo del tempo di Carlo U, come si dice qui. Adesso il mondo va diversamente e bisogna lasciarlo andare. Dunque io le mie ragioni le ho dette e poi ho detto: adesso, fate vobis; del resto poi quando avrete deciso, in qualunque modo, ditemi quel che occorre fare e son qua.»

«E cossa dise la signora Teresina?»

«Mia sorella? Mia sorella, poveretta, dice: se li vedo a posto non mi dispiace più di morire.»

Il signor Giacomo soffiò forte come sempre quando udiva quest’ultima sgradevole parola.

«Ma no semo miga a sti passi?» diss’egli.

«Eh!» fece l’ingegnere, molto serio. «Speriamo in Domeneddio.»