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58 | capitolo iii |
Salirono per alcuni minuti, egli davanti e l’ingegnere dietro, per la stradicciuola faticosa, mal rischiarata da un chiaror di luna perduta fra le nuvole. Non si udivano che i passi lenti, il picchiar delle mazze sul ciottolato e i soffi regolari del signor Giacomo; apff! apff! A piedi della lunga scalinata di Pianca, l’ometto si fermò, si levò il cappello, si asciugò il sudore con un fazzolettone bianco e guardando su al gran noce, alle stalle di Pianca, cui bisognava salire, mise un soffio straordinario.
«Corpo de sbrio baco!» diss’egli.
L’ingegnere gli fece coraggio. «Su, signor Giacomo! Per amore della Luisina!»
Il signor Giacomo s’incamminò senz’altro e guadagnate le stalle, oltre le quali la viottola diventa più umana, parve dimenticare gli scalini e gli scrupoli, la perfida servente e l’I. R. Commissario, la marchesa vendicativa e il maledetto toro, e si mise a parlar con entusiasmo della signorina Rigey.
«No ghe xe ponto de dubio, quando go l’onor de trovarme con so nezza, con la signorina Luisina, digo, me par giusto, la se figura, de trovarme ancora ai tempi della Baretela, delle Filipuzze, delle tre sorelle Spàresi da S. Piero Incarian e de tante altre de na volta che per so grazia me compativa. Vado giusto de tempo in tempo dalla signora marchesa, vedo là qualchevolta ste putele del dì d’ancò. No... no... no; no gavemo propramente quel contegno che m’intendo mi; o che semo durete o che semo spuzzete. La varda invece la signorina Luisina