Questa pagina è stata trascritta, formattata e riletta. |
54 | capitolo iii |
«Di cosa?» fece l’ingegnere seccato. La porta si aperse e comparve la gialla faccia grifagna della serva.
«Oh scior parent!» diss’ella rispettosamente. Vantava non so quale affinità con la famiglia dell’ingegnere e lo chiamava sempre così. «A sti ôr chi? L’è staa forsi a trovà la sciora parenta?»
La «sciora parenta» era la sorella dell’ingegnere, la signora Rigey.
L’ingegnere si contentò di rispondere: «Oh Marianna, vi saluto, neh?» e salì le scale seguito da Marianna col lume.
«Mia riverenza» cominciò il signor Giacomo venendogli incontro con un altro lume. «Capisco e riconosco la inconvenienza grande, ma propramente...»
Il visetto raso e roseo del signor Giacomo, posato sopra un cravattone bianco e una piccola smilza personcina chiusa in un soprabitone nero, esprimeva nei moti convulsivi delle labbra e delle sopracciglia, negli occhi dolenti, la più comica inquietudine.
«Cosa c’è di nuovo?» chiese l’ingegnere alquanto brusco. Egli, l’uomo più retto e schietto che fosse al mondo, compativa poco le esitazioni del povero timido signor Giacomo.
«La permeta» cominciò il Puttini; e, voltosi alla serva, le disse aspramente:
«Andè via, vu; andè in cusina; vegnì quando