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solenne rullo 515

«Scusi, signore» disse il cameriere che serviva. «Mi pare che il signore parlasse di entrare nel 9.° reggimento?»

«Sì.»

«Brigata Regina. Brava brigata. Io ho servito nel 10°. Ci siamo fatti onore nel 1848, ehi! Goito, Santa Lucia, Governolo, Volta! Adesso tocca a Loro.»

«Faremo il possibile.»

Luisa ebbe un lieve brivido. Gl’inglesi che pranzavano alla tavola vicina intesero il dialogo, guardarono Franco. Per qualche momento nessuno parlò nella sala; vi passò la visione d'una colonna di fanteria lanciata alla baionetta, fra la mitraglia.

Dopo pranzo lo zio rimase all’albergo per il suo solito chilo e Franco uscì con Luisa. Presero a destra, verso il Palazzo. Faceva piuttosto scuro, cadeva qualche rara gocciolina, gli scalini che mettono dalla riva al cortile della villa erano umidi, si sdrucciolava. Franco offerse il braccio a sua moglie che lo prese in silenzio. Si fermarono tra il cortile deserto e la scala dello sbarco a contar le ore che suonavano all’orologio del Palazzo. Sei. Erano passate due ore, ne restavano altre undici; poi veniva la separazione, l’ignoto. Si incamminarono lentamente, sempre senza parlare, per il viale diritto fra il lago e il fianco del Palazzo a quell’angolo che guarda l’isola dei Pescatori, dove si vedeva già qualche lume. Due donne venivano loro incontro a braccetto, chiacchierando. Franco le