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514 | parte iii - capitolo ii |
capelli le labbra di Franco, levarsi il braccio dalle sue spalle. Tacquero ambedue; poi Franco mormorò con dolcezza:
«Sono tredici ore. Forse dopo non ti darò noia mai più.» In quel punto entrò lo zio Piero e annunciò che il pranzo era pronto. Luisa prese la mano di suo marito, gliela strinse in silenzio, non con la stretta d’un amante ma pure abbastanza forte per significargli ch’era una commossa risposta.
A pranzo nè Luisa nè Franco mangiarono. Invece lo zio mangiò con appetito e parlò molto. Egli non approvava che Franco prendesse le armi. «Che soldato vuoi riuscire tu?» gli diceva. «Cosa farai senza la canfora, l’acqua sedativa e il cossa soja mi?» Franco dichiarò che aveva buttato via tutti i rimedi, che si sentiva di ferro, che sarebbe stato il più robusto soldato del 9.° «Sarà!» brontolò lo zio. «Sarà! E tu, Luisa, non dici niente?» Luisa rispose ch’era persuasa di quanto aveva detto suo marito. «N’occor alter!» fece lo zio. «Evviva!» Egli aveva poi anche un gran concetto della potenza austriaca e non vedeva roseo come Franco. Secondo Franco non c’era da dubitare della vittoria. Egli aveva veduto un aiutante di Niel venuto segretamente a Torino, gli aveva udito dire ad alcuni ufficiale piemontesi di Stato Maggiore: «Nous allons supprimer l’Autriche.» Certo bisognava lasciare almeno cinquanta mila cadaveri italiani e francesi tra il Ticino e l’Isonzo.