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512 | parte iii - capitolo ii |
quell’alcova fosse un tormento. Ella gli rispose che preferiva l’altra camera, più chiara, più allegra. «Amen» disse lo zio «fate vobis. M’inalcoverò io.»
Anche quell’angolo dell’albergo ritornò nel silenzio. Luisa si pose alla finestra. Il battello di Arona doveva esser vicino, l’uomo di prima s’incamminava lentamente verso lo sbarco e poco dopo si udì un rumor lontano di ruote. Lo zio disse a Luisa che si sentiva stanco e rimaneva in camera.
Ella discese verso il ponte dello sbarco e si fermò presso una casupola che toglieva di vedere il battello di cui udiva il fragore. A un tratto la prora del San Gottardo le uscì davanti lentamente e si fermò. Luisa riconobbe suo marito fra un gruppo di persone che gli facevano un grande chiasso intorno. Franco la vide, saltò sul ponte, corse a lei che fece due passi avanti. Si abbracciarono, egli muto, cieco d’emozione, ridente e lagrimoso, pieno di gratitudine e anche trepido, incerto circa l’animo di lei, circa il modo di regolarsi; ella più composta, pallidissima e seria. «Addio» ripeteva «addio» e s’incamminò verso l’albergo. Venne allora da Franco una furia di domande sul suo viaggio, sul passaggio del confine, prima; poi sullo zio. Quando nominò lo zio, Luisa alzò il viso e disse: «guarda!» Lo zio era lassù alla finestra e gittò abbasso un addio sonoro agitando il fazzoletto. «Oh!» fece Franco, stupefatto; e prese la corsa.
Lo zio lo aspettò sul pianerottolo della scala con