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508 parte iii - capitolo ii

di fazzoletti e poi un canto, un canto potente di cinquanta voci gagliarde:


Addio, mia bella, addio,
L’armata se ne va.


I soldati si erano tutti ammucchiati a prora su cataste di sacchi e barili, quale seduto, quale sdraiato, quale in piedi, e cantavano a squarciagola con l’accompagnamento cupo delle ruote del vapore, che filava diritto giù verso lo sfondo di cielo cui le sottili colline d’Ispra dividono dall’immenso specchio dell’acque verso il Ticino. Quei giovinotti avevano a passarlo presto, il Ticino, probabilmente al grido di Savoia, fra una furia di cannonate. Molti di loro erano attesi laggiù, sotto quel cielo sereno, dalla morte; ma tutti cantavano allegri e solo il rumor cupo delle ruote del vapore pareva saperne qualchecosa. Le libere montagne piemontesi lungo le quali filava il battello parevano fiere e paghe, benchè nell’ombra, di aver dato i propri figli alle schiave montagne lombarde, tragiche nell’aspetto benchè illuminate dal sole. Luisa si sentì un lieve formicolio nel sangue, un palpito del suo patriottismo ardente d’una volta. E quelle madri che avevan visto partire i loro figli così? Prevenne il proprio pensiero, si disse subito che anche lei avrebbe donato volentieri un figlio all’Italia, che quelle madri non potrebbero in nessun caso paragonarsi a lei. Ma com’era diverso di leggere in Valsolda una lettera che parlava di guerra e di