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sulla soglia d'un'altra vita 47


Ma Friend, se era lì, si trovò altrove quando colei, chinatasi, allungò le mani. Era di buon umore, quella sera, il vecchio Friend, e gli piacque di giuocare a non lasciarsi prendere, provocando Carlotta, sgusciandole sempre di mano, scappando sotto il piano o sotto il tavolino a guardar con un ironico scodinzolamento la povera donna che gli diceva «ven, cara, ven, cara» con la bocca e «brütt moster» con il cuore.

«Friend!» fece la marchesa, «Andiamo! Friend! Da bravo!»

Franco bolliva. Venutogli tra le gambe l’antipatico mostriccino infetto dell’egoismo e della superbia della sua padrona, lo scosse da sè, lo fece ruzzolare tra le unghie di Carlotta che gli diede per proprio conto una rabbiosa stretta e se lo portò via rispondendo perfidamente ai suoi guaìti: «Cosse t’han faa, poer Friend, cosse t’han faa, dì sü!»

La marchesa non disse parola nè il suo viso marmoreo tradì il suo cuore. Diede al cameriere l’ordine di dire al prefetto della Caravina, se venisse, e anche a qualsiasi altro, che la padrona era andata a letto. Franco si mosse per uscire anche lui dietro ai servi, ma si trattenne subito, onde non aver l’aria di fuggire. Prese sulla caminiera un numero della I. R. Gazzetta di Milano, sedette presso sua nonna e si mise a leggere, aspettando.

«Mi congratulo tanto» cominciò subito la voce sonnacchiosa «della bella educazione e dei bei sentimenti che ci avete fatto vedere oggi.»