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492 | parte iii - capitolo i |
continuamente il luogo l’una dell’altra! Quando ho ricevuto la lettera ho pianto tanto, mi son detta: - sì, povero Franco, stavolta vado - e poi ecco una voce che mi dice qui nella fronte - no, non devi andare perchè.... perchè.... perchè....»
Ella s’interruppe e il professore, spaventato da bagliori di pazzia negli occhi che lo fissavano, non osò chiedere spiegazioni. Gli occhi strani sempre fissi ne’ suoi vennero raddolcendosi, velandosi. Luisa gli prese le mani, gli disse piano, timidamente: «Domandiamo a Maria.»
Sedettero al tavolino, vi posarono le mani su. Il professore voltava le spalle al lume che batteva sul viso di Luisa. Il tavolino era nell’ombra. Dopo undici minuti di silenzio profondo il professore mormorò:
«Si muove.»
Infatti il tavolino si andava lentamente inclinando da un lato. Ricadde e battè un piccolo colpo. Il viso di Luisa s’illuminò.
«Chi sei?» disse il professore. «Rispondi col solito alfabeto.»
Il tavolino battè diciassette colpi, poi quattordici, poi diciotto, poi uno. «Rosa» disse il professore, piano. Rosa era il nome di una sorellina di sua moglie, morta nell’infanzia, e il tavolino aveva battuto parecchie altre volte questo nome. «Va» riprese il Gilardoni «mandaci Maria.»
Il tavolino si rimise tosto in movimento e battè queste parole: