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il savio parla 481


Intanto sui pendii di Valsolda fiorivano pacificamente le viole come se nulla fosse. La sera del venti febbraio Luisa ne portò un mazzolino in Camposanto. Ella vestiva ancora a lutto, era terrea, macilenta, aveva gli occhi più grandi e molti fili di argento in testa. Pareva che dal giorno della sua sventura fossero passati vent’anni. Uscita dal Camposanto si avviò verso Albogasio e si accompagnò ad alcune donne di Oria che andavano a dire il rosario alla parrocchia. Non pareva più lo spettro cupo che aveva posato le viole sopra la fossa di Maria. Parlò serena, ilare quasi, con l’una e con l’altra, domandò di una bestia malata, accarezzò e lodò una bambina che andava al rosario con la nonna, le raccomandò di stare tranquilla in chiesa come sempre vi stava la sua Maria. Disse questo e nominò Maria quietamente, mentre quelle donne rabbrividivano e anche stupivano perchè adesso Luisa non andava in chiesa mai. Domandò a una ragazza se i giovanotti pensassero, come al solito, di recitare, se recitasse anche suo fratello; udito che sì, offerse aiuto per i costumi. Si accomiatò sul sagrato dell’Annunciata e nello scender soletta la Calcinera riprese il viso di spettro.

Andava a Casarico, dai Gilardoni, sposi da tre anni. La felicità del professore, la sua adorazione per Ester vorrebbero un poema. Lo zio Piero diceva di lui ch’era diventato ebete. Ester temeva che diventasse ridicolo e non gli permetteva, quando c’era gente, di prender davanti a lei certe pose