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464 | parte ii - capitolo xiii |
«Io? Mai più. Il signor Maironi dorme, a quest’ora.»
«E Lei dove va?
«Vado lì su quel monte, su quel dannato Boglia lì. Vado su per l’affar del toro comunale.»
«Bestia!» pensò l’avvocato. «Comunale me lo fa diventare!» Ma passò felicemente anche il toro comunale. Il gendarme, un muso da mastino, squadrò bene il suo interlocutore in viso. «Lei è deputato politico» diss’egli insolentemente «e porta quella roba sul viso?» Pedraglio si prese istintivamente il suo piccolo sottile pizzo nero, barba reproba da liberale. «Taglieremo, taglieremo» diss’egli con serietà comica. «Sì signore. Va sul Boglia anche Lei?» Il gendarme se n’andò duro duro senza rispondergli, senza udire su quale ignominioso patibolo il deputato politico lo mandava.
I due si rallegrarono a vicenda di averla scampata bella ma riconobbero che il giuoco si era fatto molto serio. Adesso bisognava contare con le guardie che conoscevano bene il Puttini, e saperne stare a distanza. E se quel mastino di gendarme parlasse della barba? «Su su» fece l’avvocato «teniamo loro dietro e se li vediamo o li udiamo tornar giù, gambe in spalla e via a sinistra verso il confine.» Partito disperato, quest’ultimo, perchè non conoscevano il terreno, certo famigliare alle guardie.
Il mastino dovette sudare e ansar troppo dietro a' suoi compagni per aver poi voglia di parlar di