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460 | parte ii - capitolo xiii |
là, avevano scovato un lurido vestito della Marianna, un fazzolettone rosso, una gerla e una bottiglia di anesone triduo. «Accidenti!» fece l’avvocato, quando vide la roba immonda che doveva mettere. Il suo travestimento andava veramente male, la sottana era corta, il fazzolettone non gli nascondeva abbastanza la faccia, ma non c’era tempo di far meglio. Invece il Pedraglio, cappellone in testa e canna d’India in mano, riescì un sior Zacomo perfetto. L’avvocato gli fece prendere sotto l’ascella uno scartafaccio che trovò in cucina, gl’insegnò come doveva camminare e soffiare. Prese per ultimo le chiavi della cantina, due chiavi enormi, ne diede una al Pedraglio e una ne mise in tasca per due possibili pugni, uno in chiave di violino, disse, e l’altro in chiave di basso. E così uscirono, il Prefetto davanti, poi il finto sior Zacomo che soffiava come una macchina a vapore, poi la finta Marianna con la gerla. Appena furono in strada ecco spuntar la Marianna vera di ritorno da S. Mamette con un fiasco vuoto. Vista, tra il fosco e il chiaro, la tuba del padrone, diede volta e via a gambe.
«Brutta ladra!» fece il Prefetto. «Benone. Il travestimento va benone.» In cinque minuti furono sulla strada di Boglia. Il Prefetto ridiscese, udì persone che salivano da Albogasio Superiore discorrendo di gendarmi e di guardie, andò loro incontro, domandò che ci fosse di nuovo. Una bagatella. Polizia, gendarmi, soldati a casa Ribera