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in fuga | 459 |
l'avvocato, si mise a gemere. «Oh Dio, oh Dio! povareto mi, La me perdoni per carità, credeva che fosse la servente! Avvocato distintissimo, in nome de Dio, cossa xe nato?» «Gnente gnente, sior Zacomo», fece l’avvocato contraffacendolo molto lombardamente col suo imperturbabile umorismo. «ghe xe qua, digo, ciò, el commissario de Porlezza....»
«Oh Dio!» Il sior Zacomo fece atto di gettar le gambe fuori del letto.
«Gnente, gnente, quieto quieto, soto soto. Andemo in Boglia, digo, ciò, per quel maledeto toro!»
«Oh Dio, cossa disela, che a sta stagion in Bolgia no ghe xe tori! Mi sudo tuto!» No fa gnente, andemo, digo, a veder el posto, ciò, dove ch’el gera. - Ma il signor Commissario «continuò il beffardo avvocato lasciando un linguaggio che troppo lo imbarazzava.» Le proibisce assolutamente di venire con noi, per le sue buone ragioni; Le proibisce di uscire prima del nostro ritorno e anzi mi ha ordinato di portarle via gli abiti.»
E si diede a raccogliere rapidamente gli abiti del sior Zacomo, gl’intimò il silenzio in nome del Commissario, pigliò il cappellone a cilindro, arruffò la mazza di canna d’India, ordinò al disgraziato di dare il chiavistello appena uscito lui e di non aprire a nessuno, di non parlare a nessuno prima del ritorno del Commissario e tutto in nome del signor Commissario. Poi, lasciatolo più morto che vivo, raggiunse i compagni che, fruga qua e fruga