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ciampando in un sasso o pungendosi in una siepe, tirava una maledizione meneghina. Allora gli altri zittivano. Arrivarono sulla scaletta preceduti dal Prefetto che saltava muri e siepi come uno scoiattolo. Quando furono tutti raccolti sulla scaletta Franco si staccò dal gruppo. Per la strada di Boglia non avevano bisogno di lui, egli andava a Cressogno. Invano Pedraglio lo afferrò per le braccia, invano il Prefetto lo supplicò di non esporsi a un arresto sicuro, magari all’ergastolo. Egli credeva obbedire alla voce di Maria, a un dovere di coscienza. Si strappò da Pedraglio e disparve su per la scaletta, non volendo andar a Cressogno per S. Mamette che sarebbe stato troppo pericoloso. «Avanti!» disse il Prefetto. «Quello là è matto, pensiamo a noi.»

Girando la casa del Puttini udirono gente che veniva loro incontro e ridiscesero. La porta di casa Puttini era aperta. Vi entrarono. La gente passò discorrendo. Erano contadini e uno diceva: «dovè diavol el va a st’ora chì?» Ahimè, hanno incontrato e riconosciuto Franco. Se i gendarmi e le guardie si mettono alla caccia dei fuggitivi e s’imbattono in quella gente, ecco che trovano una traccia. Sull’alba si trova sempre gente. Stavolta s’è potuta evitare; un’altra volta, forse, non si potrà; un altro incontro può riescir fatale all’avvocato e a Pedraglio come il primo riescirà probabilmente fatale a Franco. «Bisognerebbe che vi travestiste da contadini» dice il Prefetto. All’avvocato, che