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454 | parte ii - capitolo xiii |
muore tutti e amen.» Franco intese che sarebbe stato inutile insistere. «Allora vado» diss’egli. Ella tacque.
«Non credo che potrò ripassar da casa, nel ritorno» riprese Franco. «Dovrò prendere la montagna.»
Nessuna risposta.
Il giovane disse sottovoce. «Luisa!» Rimprovero, dolore, passione: tutto questo era nel suo richiamo. Le mani di Luisa, che mai non avevano smesso il lavoro, si fermarono. Ella mormorò:
«Non sento più niente. Sono un sasso.»
Franco si sentì mancare, baciò sua moglie sui capelli, le disse addio, entrò nell’alcova, s’inginocchiò, abbracciò il lettuccio voto, pensò alla vocina del suo tesoro: «ancora un bacio, papà», ebbe un scoppio di pianto, si contenne, corse via precipitosamente.
Gli amici lo attendevano in sala impazienti. Come partire se non conoscevan le strade? L’avvocato conosceva la strada di Boglia, sì, ma era da prendere, volendo sfuggire alle guardie? Quando udirono che Franco intendeva andare a Cressogno rimasero sbalorditi. Pedraglio uscì dai gangheri, disse ch’era un’indegnità di piantar così gli amici nell’imbarazzo. Il Prefetto, udito come le cose stavano, s’unì a Pedraglio, offerse di giustificare Franco, gli propose di scrivere due parole ch’egli avrebbe portate a Cressogno. Ma Franco aveva l’idea che la sua Maria volesse da lui questa cosa