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440 | parte ii - capitolo xii |
rispose il Prefetto, eroicamente. «Son troppo sottosopra da questa mattina in poi. Il Puria sa perchè.»
«Ma!», fece il Puria, sotto voce. «È stata una gran tragedia, già.»
Silenzio. Il Prefetto s’inchinò alla marchesa, salutò la Pasotti con l’espressione del «c’intendiamo» e partì.
Il curato di Puria, corpo grosso e cervello fino, studiava la marchesa, senza parere. Era ella tocca o no dai fatti di Oria? L’essersi astenuta dal giuoco gli pareva un indizio dubbio. Poteva averlo fatto per rispetto al proprio sangue in astratto. Osservandola bene il curato notò che le sue mani tremavano: cosa nuova. Ella dimenticò di domandare a Pasotti se il vino fosse buono: cosa nuova. La maschera cerea del viso aveva di tratto in tratto qualche contrazione: cosa nuovissima. «È tocca» pensò il curato. Siccome ella taceva, la Pasotti taceva, il Paolon taceva, tutto il gruppo pareva pietrificato cercò lui di rompere il ghiaccio, non trovò di meglio che voltar quelle teste verso il tavolino del giuoco e commentare le apostrofi di Pasotti, le proteste del Paolin, i «no digo» e gli «apff» del signor Giacomo. La marchesa si scosse un poco, si compiacque di osservare che i giuocatori si divertivano. La Pasotti non udì nè disse mai parola e gli altri tre finirono con parlar di lei. La marchesa si dolse che fosse tanto sorda, che non si potesse farle un po’ di conversazione. Gli altri due dissero di lei tutto il gran bene che meritava e