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438 | parte ii - capitolo xii |
Da quando Franco era uscito di casa il suo nome non era mai stato pronunciato nelle conversazioni serali della sala rossa, la marchesa non aveva mai fatto allusione a lui né a sua moglie. Ella ruppe adesso il silenzio di quattro anni.
«Mi rincresce per la creatura» diss’ella «ma per suo padre e sua madre è un castigo di Dio.»
Tutti tacquero. Dopo alcuni minuti Pasotti disse a voce bassa, in tono solenne:
«Fulmineo.»
E il curato di Cima soggiunse più forte:
«Evidente.»
Il Paolin ebbe paura di tacere e di parlare, fece «ma!» e allora il Paolon osservò: «proprio!» Il signor Giacomo soffiò.
«Un castigo di Dio!» ripeté con enfasi il curato di Cima. «E anche, date le circostanze, un segno della Sua protezione sopra qualche altra persona.»
Tutti, meno il Prefetto che si rodeva, guardarono la marchesa come se la Mano protettrice dell’Onnipotente fosse sospesa sopra la sua parrucca. Invece quella Mano Divina stava sopra il cappellone della Pasotti e le teneva ben chiusi gli orecchi onde non avessero a penetrarvi contaminatrici parole d’iniquità. «Curato» disse Pasotti «poiché la signora marchesa lo propone, facciamo una partitina? Lei, il Paolin, il signor Giacomo e io.»
I quattro che sedettero al tavolino da giuoco si lasciarono subito dolcemente andare, nel loro an-