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436 parte ii - capitolo xii

tavolino del tarocco in un angolo della sala, fra il gran camino e il balcone di ponente. Allora la marchesa si alzava e diceva con la sua flemma sonnolenta:

«Se creden.»

I due o tre presenti rispondevano «sem chì» e incominciava l'entro in tre o la partita in quattro.

Il vecchio cameriere, affezionatissimo a don Franco, esitò, quella sera, a portare i lumi. Non gli pareva possibile che la padrona e i signori avessero il coraggio di giuocare. Alle nove e cinque minuti, non vedendolo entrare, ciascuno commentò il ritardo fra sè. Il Paolin, prima di entrar in casa, aveva sostenuto contro il Prefetto che non si sarebbe giuocato. Egli guardò trionfante il suo avversario e lo guardò pure il Paolon compiacendosi, per una solidarietà di Paoli, che avesse ragione il Paolin. Pasotti, che si era tenuto sicuro di giuocare, cominciò a dar segni d’inquietudine. Alle nove e sette minuti, la marchesa pregò il Prefetto di suonare il campanello. Quegli restituì al Paolin l’occhiata trionfante e vi aggiunse tutto il muto disprezzo per la vecchia, che potè.

«Apparecchiate» diss’ella al cameriere.

Questi entrò poco dopo con le due candele. Anche in fondo agli occhi suoi crucciosi si vedeva il fantasma della bambina morta. Mentr’egli disponeva sul tavolino le candele, le carte da giuoco e i gettoni d’avorio, si fece nella sala quel silenzio di aspettazione che soleva precedere l’alzarsi della