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ombra e aurora | 427 |
Leu credeva che si farebbe alle otto. La Leu, quando cominciava a discorrere non smetteva facilmente e forse aveva anche paura di starsene soletta in cucina. «El so papà!», diss’ella ancora, prima di andarsene. «El so car papà! L’è forsi miga vott dì che son vegnüda chì a portagh di castegn a la sciora e sta cara tosetta, che la parlava inscì polito, propi come on avocàt, la fa: — Sai, Leu, presto il mio papà viene a Lugano e io vado a trovarlo. — Ciao, l’è ona gran roba!»
Lagrime e lagrime. Ah Iddio aveva preso la bambina per toglierla agli errori del mondo, Iddio aveva punito Luisa degli errori suoi ma non era disegnato l’orribile castigo anche per lui? Non aveva egli colpe? Oh sì, quante, quante! Ebbe la chiara visione di tutta la propria vita miseramente vuota di opere, piena di vanità, mal rispondente alle credenze che professava, tale da renderlo responsabile dell’irreligiosità di Luisa. Il mondo lo giudicava buono per le qualità di cui non aveva merito alcuno, essendo nato con esse; tanto più severo sentiva sopra di sè il giudizio di Dio che molto gli aveva dato e frutto non ne aveva colto. S’inginocchiò da capo, si umiliò sotto il castigo, nella desolata contrizione del cuore, nell’ardor di espiare, di purificarsi, di farsi degno che Iddio lo ricongiungesse con Maria.
Pregò e pianse a lungo a lungo, poi uscì sulla terrazza. Il cielo imbiancava sopra la Galbiga e le montagne del lago di Como; veniva giorno. Dal