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ombra e aurora 411

sorta di supposizioni rosee e di ragionamenti vani ma egli non rispondeva parola, aspettava con una avidità immensa il momento di partire, di esser solo, di correre verso Oria, perché, qualunque ne fosse il pericolo, era ben deciso di andare a Oria. Entrò in una carrozza di terza classe e quando la locomotiva fischiò, quando il treno si scosse, mise un gran sospiro di sollievo, e si diede tutto al pensiero della sua Maria. Ma v’era troppa gente, troppo rozza e chiassosa gente intorno a lui. A Chivasso, non potendo resistere a quei discorsi, a quelle risate, passò in una carrozza vuota di seconda classe dove si mise a parlar solo, guardando il sedile di faccia.

Dio, perché non mettere nel telegramma una parola di più? Oh Signore, una parola sola! Il nome della malattia, almeno!

Un nome orribile gli attraversò la mente: croup. Stese le braccia avanti, contro il fantasma, in uno stiramento convulso, aspirando aria con tutta la forza sua e le lasciò ricader con un soffio che parve vuotargli il petto d’anima e di vita. Perché doveva trattarsi di un male subitaneo, altrimenti Luisa avrebbe scritto. Altro lampo nella mente: congestione cerebrale? Egli stesso, da bambino, era stato a morte per una congestione cerebrale. Signore, Signore, questa era una luce buona. Era Dio che gliela mandava! Fu preso da singhiozzi nervosi, senza lagrime. Maria, tesoro, amore, gioia! Doveva esser questo, sì. La vide ansante, accesa, vegliata dal