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406 | parte ii - capitolo x |
no in Paradiso! È mia! È mia! Dio è cattivo! No! Non gliela dò!»
Indietreggiò indietreggiò sin dentro all’alcova, tra il letto matrimoniale e il lettuccio, ricominciò i lunghi gemiti che non parevano umani. L’Aliprandi fece uscire l’ingegnere che tremava. «Passerà, passerà «diss’egli. «Bisogna aver pazienza. Adesso resto io.» In sala c’era Ismaele che prese il professore a parte.
«E avvertire il signor don Franco?» diss’egli. Si parlò allo zio, si decise di mandar un telegramma da Lugano, l’indomani mattina perchè oramai era troppo tardi, a nome dello zio, parlando di malattia grave. Ester scrisse il telegramma, in sala c’era un’altra persona, la povera Pasotti corsa lì mentre suo marito era andato ad accompagnare la marchesa a Cressogno. Ella singhiozzava, disperata d’aver dato quella barchetta a Maria. Voleva entrare da Luisa ma il dottore udendo pianger forte, uscì, raccomandò quiete, silenzio. La Pasotti andò a piangere in loggia. Con lei erano venuti il curato don Brazzova e il prefetto della Caravina che avevan pranzato a casa Pasotti. Più tardi venne il curato di Castello, l’Introini, piangendo come un ragazzo. Volle assolutamente entrare da Luisa malgrado il medico e s’inginocchiò in mezzo alla camera, supplicò Luisa di donar la sua bambina al Signore. «Che la guarda» soggiunse «che la guarda, sciora Lüisa, se la voeur propi minga donàghela al Signor, che ghe La dona a la soa nonna