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esusmaria, sciora luisa! | 405 |
andiamo.» Si lasciò sdrucciolare dal letto a terra, si avviò verso lo zio stringendosi al petto col braccio sinistro la sua dolce morta, passò l’altro al collo del vecchio, gli sussurrò: un bacio, un bacio, un bacio alla tua Ombretta, un bacio solo, uno solo.»
Lo zio Piero si chinò, baciò il visetto già deturpato amaramente dalla morte, lo bagnò di due grosse lagrime. «Guarda, guarda, zio» diss’ella. «Dottore, porti qua il lume. Sì sì, non sia cattivo, dottore. Guarda, zio, che tesoro. Dottore!»
L’Aliprandi era riluttante e tentò resistere ancora; ma quel dolore folle aveva qualche cosa di sacro che s’impose. Obbedì, prese il lume e lo accostò al piccolo cadavere che faceva con quegli occhi semiaperti e quelle pupille dilatate una pietà immensa ed era stato la Maria, la Ombretta gentile, la dolcezza del vecchio, il riso e l’amore della casa.
«Guarda, zio, questo piccolo petto come l’abbiamo maltrattato, povero tesoro, come gli abbiamo fatto male con tanto strofinare. La tua mamma è stata, sai, Maria, la tua brutta mamma e quel cattivo dottore lì.»
«Basta!» disse il dottore risolutamente, posando il lume sulla scrivania. «Parli pure alla Sua bambina, ma non a questa, a quella ch’è in Paradiso.»
L’impressione fu terribile. Ogni tenerezza sparì dal viso di Luisa. Ella indietreggiò cupa, stringendosi la sua morta sul seno. «No!» stridette «no!