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402 | parte ii - capitolo x |
quelli ch'eran fuori accorrevano. Lo zio Piero volgeva il capo verso l’uscio dell’alcova e solo in quei momenti si disordinava un poco nel viso. Pur troppo vide ogni volta la gente ritornarsene lentamente, in un silenzio accorato. Passarono le cinque. Il tempo durando piovoso, la luce mancava.
Alle cinque e mezzo si udì finalmente la voce di Luisa. Fu uno strido acuto, inenarrabile, che agghiacciò il sangue nelle vene a tutti. Rispose la voce del dottore con un accento di premurosa protesta. Si seppe che il dottore aveva fatto un gesto come per dire: «oramai è inutile; desistiamo» e che al grido di lei aveva ripreso il lavoro.
Poi, nel lamento monotono che la pioggia minuta e fitta metteva a tutte le finestre aperte, il silenzio della casa parve divenuto più sepolcrale. La sala, il corridoio andavano diventando bui, vi si andò avvivando il debole chiaror di candele che usciva dall’alcova. La gente cominciò a ritirarsi, un’ombra dopo l’altra, silenziosamente, in punta di piedi. Si udivano poi sul ciottolato della via gli scarponi pesanti, passi senza voci. La Cia si avviò pian piano al suo padrone, gli sussurrò all’orecchio se non volesse prendere qualchecosa. Egli la fece tacere con un gesto brusco.
Dopo le sette, essendo partiti tutti gli estranei alla famiglia meno il Toni Gall, Ismaele, il professore, l’Ester e tre o quattro donne ch’erano nell’alcova, si udirono dei gemiti lunghi, sommessi, che quasi non parevano umani. Il dottore entrò in