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398 parte ii - capitolo x


Luisa passò, quasi portata di peso, fra voci affannose di conforto. «Coraggio, coraggio! Chi sa, chi sa!» All’entrata della camera dell’alcova si sciolse dal braccio del professore, entrò sola.

Avevan dovuto accendere il lume perchè nell’alcova, causa la pioggia, faceva scuro. La povera dolce Ombretta posava nuda sul letto cogli occhi semiaperti e la bocca pure semiaperta. Il viso era leggermente roseo, le labbra nerastre, il corpo di una lividezza cadaverica. Il dottore, aiutato da Ester, tentava la respirazione artificiale, portando le piccole braccia sopra il capo e lungo i fianchi, alternativamente, facendo pressioni sull’addome.

«Dottore? Dottore?» singhiozzò Luisa.

«Facciamo il possibile» rispose il dottore, grave. Ella precipitò col viso sui piedini gelidi della sua creatura, li coperse di baci forsennati. Allora Ester fu presa da un tremito. «No no!» fece il dottore: «coraggio, coraggio!» «A me!» esclamò Luisa. Il dottore l’arrestò con un gesto e fece segno ad Ester di sostare. Si chinò sul visino di Maria, le mise la bocca sulla bocca, respirò più volte profondamente, si rialzò, «Ma è rosea, è rosea!» sussurrò Luisa ansando. Il dottore sospirò in silenzio, accese un cerino, lo accostò alle labbra di Maria.

Tre o quattro donne che pregavano ginocchioni si alzarono, si accostarono al letto palpitanti, trattenendo il respiro. L’uscio della sala era aperto; altri volti si affacciarono di là, silenziosi, intenti.